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ダニエーラの小部屋
“8 ½” spiegato ai miei studenti (sette anni fa)
Scriveva Jung che «l’opera d’arte è come un sogno che, nonostante sia manifesto, non si autointerpreta, e che non ha mai un significato solo. Nessun sogno dice “devi”; oppure “questa è la verità”; esso presenta un’immagine come la natura fa crescere una pianta; siamo noi che dobbiamo provare a darle un significato».
Leggendo per caso un saggio su Lighea, un raccontino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, mi sono imbattuta in queste righe, e non ho potuto fare a meno di notare come si adatti al film che abbiamo visto insieme ormai tanto tempo fa. Perché 8 ½ è un film onirico e parla di sogni, e perché il sogno come il film è fatto di immagini, e in un regista come Federico Fellini l’immagine è tutto. Anche se ormai lontane nel ricordo, quasi in un sogno, mi tornano in mente le vostre facce tra l’attonito e lo stupito, e i commenti un po’ perplessi. Come promesso, e con un bel ritardo, eccomi qui, tenendo a precisare che questa è la mia lettura del film, e diversa dalla mia ce ne sono altre.
Credo che 8 ½ non sia un film da “capire” nel senso intellettuale del termine. Chi provasse a farlo rimarrebbe deluso, perché nessuna interpretazione riuscirebbe a saziarlo: Fellini vuole parlare dell’educazione cattolica degli italiani? 8 ½ vuole mostrarci il contrasto tra caos e cosmos? Si tratta di un film autobiografico sulla crisi di un regista? Daumier, il personaggio del critico, in una delle ultime sequenza viene impiccato – tanto ricorda la sua immagine quella di un manichino di De Chirico... –: rischieremmo anche noi di ritrovarci con il cappio al collo? Differentemente da Daumier saremmo stati noi ad essercelo infilato.
Se ognuna delle letture accennate potrebbe sembrare veritiera, nessuna è esaustiva. In fin dei conti a cosa si riduce la trama di 8 ½? Essa è quasi nulla, e tirandola all’osso potremmo semplicemente concludere che racconta di un film mai realizzato. Eppure 8 ½ è composto da tanti piccoli episodi sul rapporto tra Guido (il protagonista) e gli altri personaggi: la moglie, l’amante, il produttore, il vecchio amico con la fidanzata giovane, la ragazza pura come un bicchiere d’acqua, la prostituta Saraghina. Soffermandoci sulla rappresentazione di ciascun personaggio, noteremo che il loro carattere, i loro tic, e i loro comportamenti sono esagerati fino al parossismo, come se ognuno di loro racchiudesse nella sua rappresentazione filmica l’episodio di cui è protagonista. Di conseguenza potremmo pensare che l’ultima sequenza, dove i personaggi si tengono per mano e ballano in cerchio, condensi tutti quegli episodi di cui siamo stati spettatori fino a poco prima, diretti, domati, e perché no, immaginati, da Guido bambino. Che sia Guido bambino lo supponiamo dal vestito alla marinaretta, ricordate l’episodio della Saraghina? A questo punto, potremmo avanzare l’ipotesi che Guido, da bravo regista, nell’ultima sequenza non stia facendo altro che dirigere i sui personaggi-episodi. 8 ½ è perciò un film sul cinema. Attenzione: un altro indizio in questa direzione sono i riflessi e i rumori delle macchine da presa che a volte si vedono e si ascoltano nel film.
E togliamoci una curiosità: ASANISIMASA, la parola magica che ricorre più volte nel film, vuol dire “anima” (un giochino: basta togliere la “s” e la vocale che la precede), ed è un termine junghiano che indica la parte femminile della psiche, ossia quella parte di noi che possiede la facoltà di simbolizzare e di immaginare, l’irrazionalità. Perciò perché non concludere che 8 ½ è un film sull’immaginazione? Non solo un film su come si gira - o non si gira - un film, ma un film sulla creazione artistica. E dell’harem? che dire... è il sogno di ogni maschio italiano, e chissà che non lo sia anche per quello giapponese...
Giappone
In volo verso l’Oriente e il sole e tramontato. Prima tappa Bangkok, sopra l’Iran, l’Afganistan, l’India, poi cambio d’aereo, destinazione Osaka. Nella pancia metallica dell’aereo e ormai buio, e la gente sazia della cena giace addormentata: che ore saranno a casa?
Sotto di me, lontanissime, le luci tracciano i percorsi di strade impraticabili e delineano i perimetri di citta sconosciute e irraggiungibili. S’intervallano geometricamente rombi, rettangoli e quadrati. Luci piu forti, arancioni e minacciose si accendono a intermittenza: i fuochi dei condotti petroliferi. Di nuovo il brivido del finestrino sulle mie guance: fuori e ancora buio, in alto, all’altezza delle stelle, e in basso, verso terra. Siamo sopra il mare? Ma quale mare? A tratti fiochi agglomerati luminosi interrompono l’oscurita: forse il deserto e qualche fortezza inespugnata, o forse rare citta strette nel sonno e nella notte, o remoti paesi arroccati sulle montagne, tra i valichi rocciosi. Altre luci, passete poche ore: una miriade di puntini luminosi, migliaia, milioni, miliardi, tanti quante le bocche da sfamare. Un lumino acceso per ogni uomo che vive li sotto.
I paesi che non avrei voluto vedere. Il viaggio che non dimentichero mai.
Le scie degli aerei, il loro biancore sul cielo azzurro, mi mettono sempre una punta di tristezza. Oggi sono indecisa su cosa leggere ai miei studenti per la lezione di poesia italiana della terza ora. Lo stilnovo: Dante o Cavalcanti? A chi andra la loro preferenza? Dante: chi fu costui?
Divisa tra l’Italia, la mia casa e la letteratura che insegno e in cui riconosco le tracce del mio passato, e il Giappone: la lingua nuova e incomprensibile, i tre alfabeti che fatico a imparare, i piatti insoliti e seducenti ai quali ancora non so dare le mie preferenze. I gesti della gente che stento a decifrare. Le guance paffute dei bambini che cantano nell’asilo vicino all’universita. Come sono belli i bambini giapponesi! Si ricomincia da capo con i libri scritti per chi ancora non sa leggere A I U E O[1], con la prima volta di un cibo e poi, se mi piace, la seconda e la terza... Nuovi soprannomi accanto a quelli vecchi, nuovi simboli a decifrare la mia vita, e ancora nuove storie. Si ricomicia da zero. Sul tavolino da te, che non ho saputo adibire alla sua originale funzione se non come comodino, fissa nel bianco e nero di una foto, la bambina con il broncio di vent’anni fa.
Divisa in due, e con la sensazione che a volte basti aprire un portone, scostare un uscio, girare una chiave per sentire le risate dei miei amici, rivedere i disegni del frassino del mio letto. Si puo contemporaneamente essere in ogni dove?
E tardi. Cammino di corsa per i lunghi corridoi del dipartimento. Quale sara l’aula: non la distinguo, non leggo ancora i numeri in canji[2]. Fortuna una porta aperta: la mia classe, mi stanno aspettando. Cinque paia di occhi curiosi e vivacissimi mi osservano aprire le pagine di un libro: ≪In quella parte del libro della mia memoria dinanzi alla quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice Incipit Vita Nova...≫.
[1] L’ordine delle vocali nell’alfabeto dell’hiragana.
[2] Gli ideogrammi giapponesi.
Giappone(日本語版)
(日本語訳 藤井裕一)
東方〔オリエント〕行のフライト 太陽は沈んだ。イラン、アフガニスタン、インドからバンコク 乗り継いで大阪を目指す。 暗くなった鉄の腹中 乗客は夕食に満ち足りて眠りこける。イタリアは何時かしら?
ずっと下に光 通ることのかなわない道筋をえがき出し まだ見ぬ、行くことのあたわぬ街の輪郭をきわ立たせる。菱形、長方形、正方形 幾何学紋様の断続。さらにつよい、橙色の、脅やかすような光が明滅する。石油の導管の火。両頬に伝わる窓の震え。外はまだ闇 上のほう、星の高みも 下のほう、大地のあたりも。今は海の上? でもどこの海? ときおり幽かな光の寄せ集めが闇を切り裂く。沙漠か 堅牢な要塞か それとも眠りについた狭い街がたまさかあったのか 峻嶺に孤独を託つ里かもしれない。また違った光がつかの間続く。無数の光の点 幾千の、幾万の、幾億の 糊する口の数だけ。下で暮らす万人に小さな光が点る。
見ようとも思わなかった国々。けして忘れられない旅。
航跡、青い空に白い光 いつも私にちくりとした悲しみを与える。三限の詩の授業 今日は生徒たちと何を読もうか。清新体派 ダンテ、それともカヴァルカンティ? 誰が好きだろう? ダンテ この者は誰であったか?
イタリア―我が家、文学、そこに私の足跡がある。でも片足はもう日本。目新しく理解不能な言語 俄かには覚えられない三種のアルファベット 慣れないけど蠱惑的な料理 まだ好きになれない。人々の仕草は読み解きづらい。大学近くの保育園で歌う幼児のふくよかな頬 日本の子どもの何て可愛らしいこと! 一からやり直さなくては いろはも知らない人向けの本、箸初め 気に入れば二度三度…古いあだ名に新しいあだ名が加わる 私の人生の新しい秘鑰 新たな履歴。零からの再開。卓袱台 正しい使い途はわからなかった、ナイトテーブルにするほかは。その上の白黒写真に留められた、二十年前の仏頂面の少女。
トランスユーラシア ときおり門をくぐり、庭を抜け、鍵を回せば 朋友の哄笑が聞こえる、ベッドのトネリコの絵に再会できる それで事足りる気がする。同時に両所に存在できる?
遅刻だ。文学部棟の長い廊下に沿って歩く。教室はどれかしら? 見分けがつかない。漢数字はまだ読めないから。運よくドアが開いている。私のクラス。皆が待っている。好奇心に満ちて生き生きとした十の瞳がページをめくる私を見つめる 「私の記憶の本でそこからまえの部分はほとんど読めないあたりに『新生ここに始まる』と朱色で書いた表題がある…」[1]
[1]ダンテ・アリギエーリ『新生』第1章第1節。
引用は『世界文学大系6 ダンテ』野上素一訳、東京、筑摩書房